“Mi stai dicendo di poliziotti che vegliano che un commissario non sia seguito e controllato da altri agenti o carabinieri?
Ammetti che ha il sapore di una comica”.
“Lo dici adesso. Ti ho detto che si poteva essere denunciati, processati, puniti e probabilmente sarebbe finito anche il “movimento”! Era una comica molto seria, credimi…”.
“Hai ragione, scusa. Allora arrivi a Roma…”.
“L’appuntamento era in una piccola sala qui vicino al Pantheon. Siamo una cinquantina: ci sono i parlamentari amici, Sergio Flamigni per i comunisti; il socialista Balzamo, il socialdemocratico Galluppi; ma ci sono anche il repubblicano Mammì, il democristiano Fracanzani, Rinaldo Scheda per la CGIL, Spandonaro per la CISL, Rufino per la UIL, Luigi Borroni per le ACLI, qualche magistrato, ricordo Mario Barone.
Fu un lungo incontro, ci si studiava, con reciproca volontà di capire, ognuno sperando di contribuire a qualcosa di importante”.
“Beh, certamente, se era il 1972 e c’era anche un democristiano, era un inizio importante. Immagino che avrai preso la parola”.
“Debbo dire che all’inizio intimidito ascoltavo soltanto.
Poi parlai, quasi focosamente. Ero l’unico funzionario:
“i miei colleghi vi hanno ringraziato, io non lo farò.
Stiamo parlando di sicurezza dei cittadini.
Non pensate che sia umiliante che dei poliziotti per potersi incontrare con voi che siete “rappresentanti del popolo” debbano farlo clandestinamente, strisciando lungo i muri come dei ladri?
Non c’è un articolo della Costituzione che parla di diritto di espressione, di associazione e libertà sindacale?”.
Le facce rimasero stupite, della serie: cosa sta dicendo questo tipo? Poi le espressioni si allentarono, e tutti espressero simpatia e condivisione.
La riunione durò qualche ora.
Tornai a Genova distrutto ma soddisfatto, in tempo per riprendere servizio”.
“Che fai adesso sorridi tu?”, gli chiedo vedendo una smorfia di ilarità scherzosa!”
“Fedeli aveva invitato, senza dircelo, alcuni giornalisti a condizione che non chiedessero né scrivessero nulla.
Stavano dietro di noi. Solo alla fine uno venne verso di me, ci abbracciammo: era Peppino De Lutiis, compagno di scuola media a Pescara con me ed Emilio Alessandrini; poi aveva dovuto seguire il papà a Napoli. Erano trascorsi quasi vent’anni e ci riconoscemmo a stento!
Questo è un particolare, che lui ama ricordare, si potrebbe dire, “a prova di bomba” essendo uno degli storici, specie in terrorismo, più bravi di questo paese”.